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Le aziende italiane sempre più spesso per essere competitive decidono di delocalizzare la produzione dei loro prodotti o parte di essa in altri paesi anche extra UE, senza per questo accettare di dover rinunciare alla prestigiosa dicitura “made in Italy”.
Talune aziende estere, talvolta, pur non avendo alcun collegamento con l’Italia, appongono la dicitura “made in Italy” sui loro prodotti al fine di ingenerare nel consumatore la convinzione di acquistare un prodotto italiano famoso per qualità e prestigio, danneggiando in questo modo sia i consumatori che le aziende italiane.
Il consumatore, dal canto suo, ha diritto, secondo l’art. 6 del Codice del Consumo (D.lgs. n. 206/2005) che i prodotti o le confezioni dei prodotti destinati a lui destinati, commercializzati sul territorio nazionale, riportino, chiaramente visibili e leggibili, almeno le indicazioni relative:
a) alla denominazione legale o merceologica del prodotto;
b) al nome o ragione sociale o marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell'Unione europea;
c) al Paese di origine se situato fuori dell'Unione europea;
d) all'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente;
e) ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto;
f) alle istruzioni, alle eventuali precauzioni e alla destinazione d'uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.
 
Per regolare il mercato e tutelare il consumatore, contemperando i contrapposti interessi, sono intervenute nel tempo diverse norme, vediamo quali.
 
La normativa europea.

​​​​​​​Secondo la normativa europea sull’origine dei prodotti (contenuta nel Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 952 del 09 ottobre 2013 (CDU o Regolamento UE n. 952/2013 del 9.10.13 9 in GUUE - L n.269 del 10.10.2013, che istituisce il Codice doganale dell’Unione e abroga, dalla sua entrata in vigore (30.10.2013 – 01.05.2016 v. art. 286), il Reg. n. 450/2008, che a sua volta aveva abrogato il Codice Doganale Comunitario Reg. CEE n. 2913/1992 e il relativo Regolamento di attuazione Re. CEE n. 2454/1993):
- sono considerate originarie di tale paese o territorio le merci interamente ottenute in un unico paese o territorio;
- le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono, invece, considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un'impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione (v. art. 60 Acquisizione dell'origine).
È dunque possibile apporre la dicitura “made in Italy” quando i prodotti hanno origine italiana ai sensi della normativa europea sull’origine sopra richiamata.

La normativa italiana.

 
L’indicazione “100% made in Italy”, “100% Italia”, “Tutto italiano” e similari è invece, riservata ai prodotti che, oltre ad essere “made in Italy”, sono realizzati interamente in Italia, in quanto il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano (v. art. 16 del D.L. n. 135/2009 in G.U. n. 223/2009 conv. in L. n. 166/2009).
Se i prodotti non sono di origine italiana, ma riportano il marchio, il logo o i dati del fabbricante o dell’importatore italiano, pur non sussistendo l’obbligo di indicare il paese di fabbricazione, al fine di evitare fraintendimenti sull’effettiva origine, è necessario accompagnare i prodotti con un’appendice (che può assumere anche la forma di cartellino o targhetta applicata o essere inserita in elementi amovibili). Tale appendice, a titolo meramente esemplificativo, può concretizzarsi in una delle seguenti diciture:
  • Prodotto fabbricato in …..;
  • Prodotto fabbricato in Paesi extra UE;
  • Prodotto di provenienza extra UE;
  • Prodotto importato da Paesi extra UE;
  • Prodotto non fabbricato in Italia;
  • Importato da (nome e sede dell’impresa)
 
La normativa di riferimento è contenuta nell’art. 4 commi 49 e 49 bis della L. n. 350/2003 in G.U. n. 299/2003 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)".
L’art. 4 comma 49 bis è stato introdotto dall'articolo 16, comma 6, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135 nell’ottica della depenalizzazione degli elementi della fattispecie previsti dalla L. n. 99/2009 che avevano integrato la previsione dell’art. 4, comma 49 della L. 350/2003.
 
Mediante tale norma il legislatore ha tipizzato la fattispecie in questione, definendo positivamente i contorni della condotta richiesta al titolare o al licenziatario del marchio al fine di informare correttamente il consumatore circa l’effettiva origine del prodotto da questi introdotto nel mercato.
 
Il nuovo art. 4 comma 49 bis ha stabilito, sotto comminatoria di una sanzione amministrativa pecuniaria, la illiceità, sub specie di fallace indicazione, dell’uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, qualora lo stesso avvenga con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, ai sensi della normativa europea sull’origine.
Al riguardo è fatto obbligo ai soggetti interessati (titolari o licenziatari di marchi) di accompagnare i prodotti o le merci alternativamente con:
  • Indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto;
  • un’attestazione circa le informazioni che gli stessi renderanno in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera di prodotti o merci.
 
Art. 4 comma 49 della Legge n. 350/2003
 
L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine; costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l’uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli, fatto salvo quanto previsto dal comma 49-bis. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione delle merci può essere sanata sul piano amministrativo con l'asportazione a cura ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant'altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull'origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l'esatta indicazione dell'origine o l'asportazione della stampigliatura "made in Italy". Le false e le fallaci indicazioni di provenienza o di origine non possono comunque essere regolarizzate quando i prodotti o le merci siano stati già immessi in libera pratica (1) (2).
 
(1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 9 del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, dall'articolo 2-ter del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, dall'articolo 1, comma 941, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. Successivamente il presente comma è stato modificato dalcomma 4 dell'articolo 17 della legge 23 luglio 2009, n. 99 che è poi stato abrogato dall'articolo 16, comma 8 del D.L. 25 settembre 2009, n. 135.
Per ulteriori modifiche al presente comma, vedi l'articolo 16, comma 5, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135. Per l'inserimento dei commi 49-bis e 49-ter, vedi l'articolo 16, comma 6, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135. Vedi inoltre il comma 7 dell'articolo 16 del medesimo D.L. 25 settembre 2009, n. 135.
(2) Comma modificato dall'articolo 16, comma 5, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135. Per l'applicazione della presente modifica vedi l'articolo 16, comma 7, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135.
 
Art. 4 comma 49-bis Legge n. 350/2003
 
Costituisce fallace indicazione l'uso del marchio, da parte del titolare o del licenziatario, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana ai sensi della normativa europea sull'origine, senza che gli stessi siano accompagnati da indicazioni precise ed evidenti sull'origine o provenienza estera o comunque sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull'effettiva origine del prodotto, ovvero senza essere accompagnati da attestazione, resa da parte del titolare o del licenziatario del marchio, circa le informazioni che, a sua cura, verranno rese in fase di commercializzazione sulla effettiva origine estera del prodotto. Per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima agricola utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui e' avvenuta la trasformazione sostanziale. Il contravventore é punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 ad euro 250.000 (1).
 
  1. Comma inserito dall'articolo 16, comma 6, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135.
  2. Per l'applicazione della presente modifica vedi l'articolo 16, comma 7, del D.L. 25 settembre 2009, n. 135. Successivamente il presente comma è stato modificato dall'articolo 43, comma 1-quater, del D.L. 22 giugno 2012 n. 83.
 
Le sanzioni penali.
 
La condotta descritta dall’art. 4 comma 49 della L. 350/2003 è sanzionata penalmente dall’art. 517 del codice penale che prevede quanto segue:
 
art. 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci)
 
[I]. Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri [2563-2574 c.c.], atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro [518] (1).
 
(1) Importo così elevato dall'art. 1 10 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80. L'art. 15, comma 1, della l. 23 luglio 2009, n. 99, ha sostituito le parole "fino a un anno o", con le parole "fino a due anni e".
competenza: Trib. monocratico
arresto: non consentito
fermo: non consentito
custodia cautelare in carcere: non consentita
altre misure cautelari personali: v. art. 2902 c.p.p.
procedibilità: d'ufficio
 
Data la complessità della materia e la continua evoluzione della normativa si consiglia agli operatori economici di prendere visione anche della seguente normativa:
-la circolare emanata dal Ministro dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’Impresa e l’Internazionalizzazione n. 124898 del 9.11.2009;
-la circolare dell’Agenzia delle Dogane n. 155971 R.U. del 30.11.2009;
-la circolare dell’Agenzia delle Dogane n. 119919 R.U. del 22.09.2010 relativa alla L. 55/2010 (c.d. Reguzzoni-Versace).
 
La legge Reguzzoni-Versace.
 
Nel 2010 a regolamentare la materia è intervenuta anche la legge c.d. Reguzzoni-Versace (L. n. 55 del 8.4.2010) recante “Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e della calzatura” con lo scopo tutelare il "Made in Italy" nei settori del tessile, dell'abbigliamento e dell'arredo, interessando tutti i consumatori italiani.
La legge n. 55/2010 introduce l'etichettatura obbligatoria e la tracciabilità dei prodotti tessili, della calzatura e della pelletteria, detta nuove norme e regole circa le caratteristiche di qualità che i prodotti devono avere per il rispetto della salute di chi li utilizza, prevede pene e sanzioni per le aziende che producono false dichiarazioni circa la tracciabilità delle fasi di lavorazione.
In particolare suddivide il processo di lavorazione di prodotti tessili, calzaturieri, conciari, di pelletteria e del settore dei divani in diverse fasi, che devono avere avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e, nello specifico, se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità.
Gli effetti pratici della legge mirano sia ad un migliore e più corretta informazione al consumatore, sia ad una difesa della produzione manifatturiera.
 
Tale norma è però stata ritenuta incompatibile con il diritto comunitario (n. 518763 del 28 luglio 2010) e anche l'Agenzia delle dogane con propria nota n. 119919/RU del 22 settembre 2010, non considera applicabili le norme ivi contenute.
 
Legge n. 55/2010
 
Art. 1 - Etichettatura dei prodotti e «Made in Italy»
1. Al fine di consentire ai consumatori finali di ricevere un'adeguata informazione sul processo di lavorazione dei prodotti, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, e dell'articolo 6, comma 1, del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni, e' istituito un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti finiti e intermedi, intendendosi per tali quelli che sono destinati alla vendita, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione e assicuri la tracciabilità dei prodotti stessi.
2. Ai fini della presente legge, per «prodotto tessile» si intende ogni tessuto o filato, naturale, sintetico o artificiale, che costituisca parte del prodotto finito o intermedio destinato all'abbigliamento, oppure all'utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all'impiego quale materiale componente di prodotti destinati all'arredo della casa e all'arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero.
3. Nell'etichetta dei prodotti finiti e intermedi di cui al comma 1, l'impresa produttrice deve fornire in modo chiaro e sintetico informazioni specifiche sulla conformità dei processi di lavorazione alle norme vigenti in materia di lavoro, garantendo il rispetto delle convenzioni siglate in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro lungo tutta la catena di fornitura, sulla certificazione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull'esclusione dell'impiego di minori nella produzione, sul rispetto della normativa europea e sul rispetto degli accordi internazionali in materia ambientale.
4. L'impiego dell'indicazione «Made in Italy» e' permesso esclusivamente per prodotti finiti per i quali le fasi di lavorazione, come definite ai commi 5, 6, 7, 8 e 9, hanno avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e in particolare se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi e' verificabile la tracciabilità.
5. Nel settore tessile, per fasi di lavorazione si intendono: la filatura, la tessitura, la nobilitazione e la confezione compiute nel territorio italiano anche utilizzando fibre naturali, artificiali o sintetiche di importazione.
6. Nel settore della pelletteria, per fasi di lavorazione si intendono: la concia, il taglio, la preparazione, l'assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione.
7. Nel settore calzaturiero, per fasi di lavorazione si intendono: la concia, la lavorazione della tomaia, l'assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione.
8. Ai fini della presente legge, per «prodotto conciario» si intende il prodotto come definito all'articolo 1 della legge 16 dicembre 1966, n. 1112, che costituisca parte del prodotto finito o intermedio destinato all'abbigliamento, oppure all'utilizzazione quale accessorio da abbigliamento, oppure all'impiego quale materiale componente di prodotti destinati all'arredo della casa e all'arredamento, intesi nelle loro più vaste accezioni, oppure come prodotto calzaturiero. Le fasi di lavorazione del prodotto conciario si concretizzano in riviera, concia, riconcia, tintura - ingrasso - rifinizione.
9. Nel settore dei divani, per fasi di lavorazione si intendono: la concia, la lavorazione del poliuretano, l'assemblaggio dei fusti, il taglio della pelle e del tessuto, il cucito della pelle e del tessuto, l'assemblaggio e la rifinizione compiuti nel territorio italiano anche utilizzando pellame grezzo di importazione.
10. Per ciascun prodotto di cui al comma 1, che non abbia i requisiti per l'impiego dell'indicazione «Made in Italy», resta salvo l'obbligo di etichettatura con l'indicazione dello Stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria.
 
Art. 2 Norme di attuazione
1. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per le politiche europee, da emanare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa notifica ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, sono stabilite le caratteristiche del sistema di etichettatura obbligatoria e di impiego dell'indicazione «Made in Italy», di cui all'articolo 1, nonché le modalità per l'esecuzione dei relativi controlli, anche attraverso il sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
2. Il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un regolamento recante disposizioni volte a garantire elevati livelli di qualità dei prodotti e dei tessuti in commercio, anche al fine di tutelare la salute umana e l'ambiente, con cui provvede, in particolare:
a) all'individuazione delle autorità sanitarie competenti per i controlli e per la vigilanza sulla qualità dei prodotti e dei tessuti in commercio, anche attraverso l'effettuazione di analisi chimiche, al fine di individuare la presenza negli stessi di sostanze vietate dalla normativa vigente e ritenute dannose per la salute umana;
b) al riconoscimento, attraverso l'introduzione di disposizioni specifiche, delle peculiari esigenze di tutela della qualità e dell'affidabilità dei prodotti per i consumatori, anche al fine della tutela della produzione nazionale, nei settori tessile, della pelletteria e calzaturiero;
c) all'individuazione dei soggetti preposti all'esecuzione dei controlli e delle relative modalità di esecuzione;
d) a stabilire l'obbligo della rintracciabilità dei prodotti tessili e degli accessori destinati al consumo in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione.
3. Il regolamento di cui al comma 2 e' aggiornato ogni due anni sulla base delle indicazioni fornite dall'Istituto superiore di sanità.
4. All'attuazione dei controlli di cui al presente articolo le amministrazioni interessate provvedono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Art. 3 Misure sanzionatorie
1. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque violi le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Nei casi di maggiore gravita' la sanzione e' aumentata fino a due terzi. Nei casi di minore gravita' la sanzione e' diminuita fino a due terzi. Si applicano il sequestro e la confisca delle merci.
2. L'impresa che violi le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 a 70.000 euro. Nei casi di maggiore gravita' la sanzione e' aumentata fino a due terzi. Nei casi di minore gravità la sanzione e' diminuita fino a due terzi. In caso di reiterazione della violazione e' disposta la sospensione dell'attività per un periodo da un mese a un anno.
3. Se le violazioni di cui al comma 1 sono commesse reiteratamente si applica la pena della reclusione da uno a tre anni. Qualora le violazioni siano commesse attraverso attività organizzate, si applica la pena della reclusione da tre a sette anni.
 
Art. 4 Efficacia delle disposizioni degli articoli 1 e 3
1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 3 acquistano efficacia dal 1° ottobre 2010.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
 
Giurisprudenza.
 
Auspicando di aver fornito un quadro completo dei principi essenziali che regolano il marchio “Made in Italy”, si conclude l’esposizione riportando alcuni precedenti giurisprudenziali intervenuti in materia.
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 23/09/2010
n. 37818
Il reato è astrattamente configurabile solo quando, oltre al proprio marchio o all'indicazione della località in cui ha la sede, l'imprenditore apponga anche una dicitura con cui attesti espressamente che il prodotto è stato fabbricato in Italia o comunque in un paese diverso da quello di effettiva fabbricazione (paese da individuare secondo le disposizioni del codice doganale europeo). In questi casi, invero, la falsa apposizione del marchio "made in Italy" o "prodotto in Italia" sarà punita ai sensi dell'art. 4, comma 49, legge 24 dicembre 2003 n. 350, mentre la falsa attestazione che il prodotto è stato fabbricato in un altro paese sarà punita ai sensi dell'art. 517 c.p.
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 05/04/2011
n. 28220
Non è soggetta alla sanzione di cui all'art. 16, comma 4 d.l. n. 135 del 2009 la commercializzazione di oggetti tipici della città di Venezia (gondoline, mascherine) recanti la scritta "Angels in Venice - Art Style Mode Design - Venezia", atteso che per l'applicazione di tale norma la legge fa riferimento a indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, ossia esplicitamente alle indicazioni del tipo "100% made in Italy" o ad altre indicazioni idonee a ingenerare nel consumatore la convinzione della realizzazione interamente in Italia del prodotto oppure alla apposizione di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione di un prodotto realizzato interamente in Italia, né, peraltro, la foggia degli oggetti può essere utilizzata come riferimento all'italianità del prodotto.
 
Autorità: Tribunale Prato
Data: 08/06/2011
n. 532
Costituisce falsa indicazione la stampigliatura "made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia e costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci, l'uso di segni, figure o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali fatto salvo quanto previsto dall'art. 49 bis l. n. 350 del 2003.
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 21/10/2004
n. 3352
Il secondo periodo del comma 49 art. 4 l. n. 350 del 2003, secondo il quale "costituisce falsa indicazione la stampigliatura "Made in Italy" su prodotti e merci non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine", subordina all'osservanza dei criteri utilizzati da tale normativa unicamente l'apposizione del marchio "Made in Italy" e non si riferisce alle false indicazioni di provenienza (contemplate nel primo periodo della norma) che riguardano la provenienza da un produttore e non la provenienza da un luogo determinato.
 
Autorità: Tribunale Venezia
Data: 16/11/2004
Va accolta la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata dal consorzio per la tutela dei vetri artistici di Murano e da alcuni produttori, per conseguire l'inibitoria alla vendita di calici di vetro colorato, contrassegnati con un bollino riportante la dicitura "made in Italy-Murano-Venezia", costituente una falsa indicazione geografica perché il luogo di produzione di tali calici è in realtà Napoli, idonea a confondere il pubblico dei consumatori, essenzialmente turisti e a determinare quindi uno sviamento della clientela interessata all'acquisto dei vetri muranesi, con conseguente integrazione della fattispecie di concorrenza sleale di cui all'art. 31 d.lg. 198 del 1996.
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 19/04/2005
n. 34103
Commette il reato di cui all'art. 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) colui il quale commercializzi beni realizzati all'estero, ai quali sia apposta una etichetta con la dicitura "made in Italy", a nulla rilevando che i suddetti prodotti siano realizzati secondo le prescrizioni e le tecniche imposte da un'impresa italiana e sotto la supervisione di questa.
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 19/04/2005
n. 34103
In tema di vendita di prodotti industriali con segni mendaci di cui all'art. 517 c.p., quale integrato dall'art. 4, comma 49, l. 24 dicembre 2003 n. 350, costituisce falsa indicazione di provenienza l'apposizione dell'etichetta "made in Italy" su magliette in realtà fabbricate all'estero, con l'assemblamento di semilavorati provenienti dall'Italia, in quanto idonea a trarre in inganno i consumatori, indotti ad acquistare il prodotto solo in quanto fabbricato in quel determinato luogo geografico, in base alle più svariate considerazioni soggettive, atteso che tale indicazione può essere apposta solo su prodotti integralmente fabbricati in Italia, ovvero che ivi hanno subito l'ultima trasformazione o lavorazione, alla stregua della normativa europea sull'origine, in particolare il regolamento Cee 2913/92 del 12 ottobre 1992, di istituzione del codice doganale comunitario, non rilevando invece che la realizzazione all'estero del prodotto sia avvenuta per conto ed in nome di un produttore italiano, che sovrintende al processo produttivo, assumendosene la responsabilità economica, tecnica e giuridica, anche, con l'apposizione del proprio marchio.
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 09/11/2005
n. 2648
Per "luogo di origine del prodotto" indicato nell'art. 4, comma 49, l. n. 350 del 2003 che, tra l'altro, tutela il made in Italy, deve intendersi quello dell'ultima trasformazione, ai sensi del Reg. Ce 2913/1992 (codice Doganale Comunitario).
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 23/09/2005
n. 34103
La modifica all'art. 4, comma 49, l. n. 350 del 2003 inserita del decreto legge sulla competitività, ha risolto il contrasto giurisprudenziale sul momento consumativo del reato, stabilendo che esso si perfeziona sin dal momento della presentazione dei prodotti e delle merci in dogana per l'immissione in consumo o in libera pratica nonché ha promosso, anche attraverso la creazione di un apposito Ente (comma 61), l'istituzione e la tutela del marchio "made in Italy", la cui regolamentazione è stata demandata ad un apposito regolamento delegato (comma 63, del medesimo art. 4).
 
Autorità: Cassazione penale sez. IV
Data: 17/10/2014
n. 3789
In tema di tutela penale dei prodotti dell'industria e del commercio, integra il reato previsto dall'art. 4, comma 49, l. n. 350 del 2003, in relazione all'art. 517 c.p., la importazione a fini di commercializzazione di calzature corredate dalla dicitura “Made in Italy” che siano state assemblate in via definitiva all'estero, in considerazione della potenzialità ingannatoria dell'indicazione del luogo di fabbricazione del prodotto. (Fattispecie nella quale l'assemblaggio dei prodotti mediante cucitura della tomaia alla suola, da considerarsi quale fase essenziale del processo di lavorazione, era avvenuta in Romania).
 
Autorità: Cassazione penale sez. IV
Data: 17/10/2014
n. 3789
L'art. 16 d.l. n. 135 del 2009, convertito nella l. n. 166 del 2009, ha introdotto criteri ancora più stringenti di quelli previsti dal Codice doganale comunitario, stabilendo che diciture quali “Made in Italy”, 100% Italia e simili possono essere apposte su un prodotto, esclusivamente qualora lo stesso sia stato interamente realizzato sul territorio italiano (riconosciuta, nella specie, la responsabilità penale in capo ai rappresentanti di una società che avevano importato scarpe dalla Romania in Italia applicando la dicitura “Made in Italy” nonostante si svolgesse all'estero la cucitura della suola alla tomaia, un segmento del ciclo produttivo di non trascurabile rilievo atteso che tale cucitura costituiva quella fase della lavorazione specificamente destinata ad assicurare la robustezza della scarpa e a preservarne la durata, incidendo così su qualità ritenute essenziali in relazione al tipo di prodotto in esame).
 
Autorità: Tribunale La Spezia
Data: 24/04/2013
n. 355
Non integra il reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci la scritta sull’origine del prodotto ove è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione anche se sia stato operato un assemblaggio con pezzi provenienti da altro paese. (Nel caso di specie era stato inserito su degli altoparlanti assemblati con coppi provenienti dalla Cina, la scritta made in Italy).
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 24/04/2013
n. 39093
Integra il reato previsto dall'art. 517 c.p. la vendita di oggetti realizzati con materie prime italiane, ma completamente rifiniti all'estero e corredati dalla dicitura "Made in Italy" per la potenzialità ingannatoria dell'indicazione sul luogo di fabbricazione del prodotto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro di portafogli confezionati in Romania con pelle italiana, e recanti stampigliatura "Genuine Leather - Made in Italy").
Rigetta,Trib. lib. Gorizia, 18/07/2011
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 08/06/2011
n. 28740
Integra il reato previsto dall'art. 517 c.p., in relazione all'art. 4, comma 49, l. 24 dicembre 2003 n. 350, la commercializzazione di prodotti agroalimentari con marchio "d.o.p. (denominazione di origine protetta) non corrispondente al vero o fallace, in quanto per i prodotti di natura alimentare, aventi una tipicità territoriale, l'origine cui si riferisce la norma sanzionatoria non è solo quella imprenditoriale ma, soprattutto, quella geografica. (Nella specie, si trattava di pomodori pelati commercializzati con etichetta "prodotto della regione d.o.p. San Marzano Pomodori Pelati Italiani", ma in realtà coltivati e raccolti in Puglia).
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 05/04/2011
n. 28220
Integra il reato di cui all'art. 16 comma 4 d.l. n. 135 del 2009, conv. in l. n. 166 del 2009 (indicazione di vendita di prodotto 100% made in Italy) l'apposizione di diciture, indicazioni o segni che inequivocamente dichiarino o inducano a ritenere che il prodotto sia stato interamente realizzato in Italia. (Nella specie la Corte ha escluso che la sola dicitura "Angels in Venice - Art Style Mode Design" possa rientrare in tali ipotesi).
 
Autorità: Cassazione penale sez. III
Data: 23/09/2005
n. 34103
Integra il reato di cui all'art. 517 c.p. in quanto è idonea ad ingannare il consumatore sull'origine del prodotto, la commercializzazione in Italia di magliette recanti la dicitura made in Italy assemblate in uno stabilimento in Romania per conto di una società italiana, la quale provvede solo alla fornitura dei macchinari per la lavorazione, e la confezione degli articoli, alla creazione dei modelli, degli stampi e della smacchiatura del filato, al supporto tecnico, alla spedizione in Romania dei prodotti semilavorati.
 
Novate Milanese, 20.9.2017
Avv. Rossella Corapi
 
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